Prologo: navigando sul web, cercando di perfezionare un piccolo articolo sull’eventuale abbinamento di sigari e rhum mi sono imbattuto in questo racconto che riporto integralmente con il nome dell’Autore. Mi sembra un bellissimo spunto di riflessione per i neofiti o gli amatori come noi, e un freno per quelli che si ritengono Maestri di un’arte che forse conoscono poco.
“Ho appena finito di mangiare. Non è andata male. Sono in un onesto ristorante da colazione-cena di lavoro. E’ stato sufficiente dribblare qualche trappola che lo spacciatore di rucola (ma quando si decideranno le autorità competenti a punire adeguatamente questo odioso reato?) ha tentato di propormi, tipo le penne alla vodka e i gamberi all’ananas, per salvaguardare il mio benessere. Si avvicina il momento del puro. Sono già riuscito a creare il panico nei tavoli vicini soltanto appoggiandolo sulla tovaglia. In effetti, le dimensioni del Diadema possono intimorire, però giuro che la prossima volta butto sul tavolo un Kalashnikov per vedere che faccia fanno i commensali. Comunque il locale si sta svuotando e quindi potrò presto cominciare a fumare. Illuso. Non ho fatto i conti con il cameriere solerte.
«Se vuole accenderlo non c’è problema perché non c’è più nessuno».
«Grazie».
« E’ un cubano?».
«Si».
«Posso portarle un rhum o del cioccolato?».
«No».
«Ma è proprio sicuro? Mio cugino che se ne intende di sigari lo inzuppa nel rhum e poi si mangia mezza tavoletta di cioccolato».
A parte che a me delle porcherie che fa suo cugino non me ne frega proprio niente, comincio a provare il panico che mi provocano sempre i consigli degli esperti. Io non li sopporto. Quando vedo le signore che in televisione spiegano come si mangiano gli asparagi in società o quando un commesso di vent’anni con nodo della cravatta dimensione nodino di vitello, collo della camicia a quattro bottoni che arriva appena sotto i lobi delle orecchie e scarpe tipo racchette da neve, cerca di spiegarmi come mi dovrei vestire, vengo preso da un senso di sconforto e di rabbia. Io non pretendo di modificare le loro abitudini, perché loro cercano di modificare le mie? Preferirei quasi che mi abbaiassero un ordine, almeno potrei legittimamente ribellarmi. Invece sono gentili. Credono effettivamente di farmi del bene con i loro consigli non richiesti.
Il cameriere solerte non demorde.
«Mio cugino mi ha raccontato che alle degustazioni a Cuba si accompagnano i sigari con il rhum e il cioccolato».
E dagli. Provate voi a spiegargli che a Cuba di cioccolato non se ne vede molto e che alle degustazioni si beve più facilmente tè non zuccherato per non alterare il gusto e gli aromi del tabacco. Non c’è niente da fare. Siamo entrati nella twilight zone degli abbinamenti, la spaventosa area di penombra che delimita l’universo conosciuto dall’abisso luciferino in cui l’aceto balsamico viene servito con qualsiasi pietanza. E quell’abisso popolato dai cuochi delle trasmissioni televisive che invece di insegnare al pubblico a preparare lo spezzatino o il pollo alla cacciatora vorrebbero che le brave massaie italiane servissero al maritino il risotto al cacao o il coniglio al kiwi.
Non riuscirò mai a capire perché una cosa buona non possa essere gustata da sola, ma richieda forzatamente un accompagnamento, spesso improbabile. A me, per esempio, piace il prosciutto crudo, mi piace il melone, ma non mi piacciono insieme specie quando un bel San Daniele si ammoscia nel succo zuccherino del frutto.
Non voglio arrivare a dire che uno dovrebbe mangiarsi prima la pasta scondita e poi il sugo.
Voglio solo dire che molti prodotti hanno una dignità autonoma che non impone di abbinarli forzatamente a qualcos’altro, con una sorta di frenesia da Piccolo Chimico. A me il rhum piace, magari non subito dopo mangiato, perché lo trovo un po’ troppo dolce (quello cubano) e gli preferisco un liquore più secco, però non è che non posso fumare se non ho un cognac o un whisky.
Del resto, è stato proprio facendo una degustazione di cognac per Torpedo che ci siamo meritati gli strali di Monsieur Blanc della Maison Gourmel perché avevamo scelto i più addizionati di caramello per lenire le nostre gole arse dal fumo. Non c’è niente da fare: la potenza aromatica dei puros altera il sapore di molti alimenti e bevande e viceversa.
Arrivano i rinforzi, il famoso cugino che è anche il titolare del ristorante.
«Vedo che lei e uno che se ne intende: le offro un limoncello che facciamo noi e uno dei sigari che mi compro personalmente a Cuba da un amico che li ruba nella fabbrica in cui lavora».
Ed estrae l’incubo di tutti gli amanti del puro. Un Lancero di Cohiba che non è mai stato a meno di 200 chiometri da Pinar del Rio e forse non è nemmeno fatto di foglie di tabacco.
«Questo si che è un sigaro vero, mica come quello lì che chissà da dove viene».
Rabbrividisco a pensare alle fatiche di Jorge, il torcedor cubano che ha arrotolato il mio Diadema e che è andato in corriera da La Habana a Sant Luis y Rey apposta per scegliere il tabacco con cui farlo.
E chi conosce il famigerato Camelo – il torpedone cubano – sa che non è impresa da poco.
«Glielo preparo io», e comincia un complicatissimo rituale a base di fiammiferoni e stecche di cedro che deve avergli insegnato l’amico cubano per distrarlo mentre gli rifilava queste schifezze di sigari. Resisto al limoncello, sembra un detersivo da bagno dell’autogrill addizionato di alcol, ma sono costretto a soccombere al sigaro.
E’ chiaramente infumabile. Mi faccio venire due guance tipo Louis Armstrong impegnato in un assolo di tromba, ma non tira neanche a morire.
Deve essere fatto di cemento.
« Buono, eh».
«Fantastico», tanto l’ironia è sprecata.
«Ma lo sa che li arrotolano ancora sulle cosce delle cubane?».
Non ci posso credere, tra un po’ mi dirà che Venezia è bella ma non sa se ci vivrebbe e che i negri hanno il ritmo nel sangue.
«Ma vedo che il suo si è spento, mi sa che non deve essere un fumatore molto esperto», mi dice mentre il suo brucia si come uno zolfanello, ma da una parte sola.
Il cugino, il cameriere solerte, non si esime dall’intervenire.
«Figurati che non ha nemmeno voluto il cioccolato».
Sono appena stato bollato come fumatore della domenica.
Adesso è troppo. Forse qualcuno dovrebbe spiegargli che sotto questo aspetto mite si nasconde il dritto di Chicago Sugar Bean (deputato nel distretto di Sing Sing).
Mi alzo e me ne vado, dopo avere pagato il conto con freddezza.
Per fortuna il «sigaro» è offerto dalla casa.
Decido di ribellarmi a questi alchimisti dei sapori. Per dimostrare la mia coerenza, domani mattina, appena sveglio, masticherò una manciata di chicchi di caffè, poi mi berrò una tazzina di acqua rovente e poi chiuderò con un cicchetto di latte (io lo zucchero non lo metto).”
Paul de Sury
Attenti dunque ai “falsi intenditori, una nuova generazione da sempre sofferente a causa di massicce overdosi di ignoranza, perennemente in debito di conoscenza, di cultura e di educazione alla memoria” (Mirco Salvadori)